venerdì 7 maggio 2010

Accesso alla Terra

Costruzione Incontro e Mobilitazione

La crisi economico ambientale causata dal capitalismo comincia a provocare piccole inversioni nei fluissi di mobilità dalla campagna alla città, che hanno caratterizzato il mondo dagli anni '50 in poi. Piano piano sempre più persone volgono lo sguardo e la propria progettualità al campo, spesso in fuga da città ormai invivibili e insalubri. Sulla carcassa agonizzante (quanto ancora distruttiva) del capitalismo nuovi paradigmi accompagnano la ricerca di un altro stile di vita, di un altro bioritmo, di un'altra alimentazione, di nuove relazioni.

In questo scenario una nuova generazione comincia a tornare al campo, cercando nelle attività e nella vita contadina una maniera di sfuggire alla tremenda precarietà della metropoli postmoderna e con l'intento di costruire nuove relazioni sociali, ambientali, economiche. Insomma una generazione politica che fa del ritorno alla terra e all'agricoltura contadina una strada per la realizzazione della propria persona e uno strumento di lotta politica per la costruzione di una società post-capitalista.

Però anche questa prospettiva sembra scontrarsi con il problema della proprietà dei mezzi di produzione, cioè con l'accesso alla terra.

"Chi vuole oggi terra in Italia ? Ce ne sono d'avanzo!" penseranno molti.

Invece almeno tre elementi hanno fatto si che accedere alla terra in Italia richieda una discreta quantità di soldi. Innanzitutto la geografia della penisola, con una disponibilità limitata di terre buone, quasi sempre ad appannaggio dell'agribusiness (in Umbria basta vedere il rapporto con il tabacco). Poi la bellezza delle nostre campagne le ha fatte diventare mete per un turismo in forte espansione, spesso d'elite; c'è quindi la tendenza, che ormai investe appieno anche le nostre zone, a trasformare il campo nel salotto per ferie (se non quando vero e proprio centro terapeutico) per ricche e ricchi stressati. Infine la gestione personalistica della proprietà demaniale, che vede il politico di turno a custodire ingenti pezzi di territorio nell'abbandono in attesa che diventino appetibili per qualche speculazione privata.

Ancora una volta la necessità di denaro a voler ingabbiare sogni e fermare cammini. Una situazione insopportabile, soprattutto per chi ha deciso di voltare le spalle al sistema e invece lo ritrova così pesantemente a intervenire sulla propria vita.

E così nel 2010 l'accesso alla terra in Italia torna nell'agenda dei movimenti. Mentre in molte altre parti del mondo è stato sempre uno dei fronti più avanzati delle lotte anticapitaliste, attorno a cui si sono sviluppate esperienze importanti e concrete di costruzione dell'altro mondo possibile (penso agli zapatisti, al MST brasiliano ,etc).

Logicamente la nostra attenzione si rivolge al cospicuo patrimonio demaniale, che addirittura in molti casi versa in stato di abbandono. Un patrimonio costituito da zone marginali (dorsale appenninica, alta collina, valli isolate) poco attraenti e adatte all'agribusiness o ad altre forme di speculazione, ma che da sempre hanno caratterizzato l'agricoltura e le civiltà contadine in Italia.

Beni spesso ostaggio, per incuria o per malafede, delle amministrazioni e burocrazie locali.

Il territorio e i suoli coltivati sono considerati dal potere ancora come terreno da sfruttare in maniera intensiva e con strategie per creare ulteriori e nuove forme di dipendenza nello strato sociale (OGM). A livello politico la grave crisi economica e la conseguente disoccupazione fanno ripensare all'agricoltura come scialuppa di salvataggio. Così nell'arco costituzionale diverse forze hanno cominciato ad accennare al tema della redistribuzione delle terre demaniali. In primis la Lega, che sull'agricoltura ha portato avanti una politica complessa e non scontata, come dimostra anche l'operato di Zaia come ministro. Ma dobbiamo saper leggere e contrastare questa proposta politica, che con tutto il suo appeal demagogico sembra far presa su molte persone. In primis per l'insopportabile razzismo caratteristico della politica leghista: "Terra ai giovani...purché italiani" <>. E poi perchè vincola questa eventuale redistribuzione sempre ad una visione accentuatamente produttivista dell'agricoltura, un sentire quanto mai lontano dai giovani che tornano alla terra per passione, un modo d’intendere il rapporto con l’ambiente che diviene la vera sfida che ci si profila da affrontare a livello educativo.

Infatti nel momento in cui sembra muoversi qualcosa a livello politico e si aprono possibili scenari, dobbiamo saper vincolare con forza il tema dell'accesso alla terra a programmi e progetti di uso sostenibile di questa e di conservazione e tutela del paesaggio e della biodiversità.

Perchè "La Terra è di chi la lavora" , come rivendicava esattamente 100 anni fa Emiliano Zapata, oggi non basta più di fronte al grado di deterioramento del nostro ecosistema. Oggi è necessario aggiungere che la Terra è si di chi la lavora, ma in maniera sostenibile e con rispetto e responsabilità verso le generazioni future.

C'è di più. È necessario con forza introdurre il tema della proprietà collettiva. Proprio ora che gli usi civici vengono presi di mira da una strumentale regolarizzazione statale per la mancanza di una loro mappatura, potrebbero risultare una soluzione (adattata al contesto odierno) percorribile in una nuova proposta e rivendicazione popolare. Dunque redistribuzione delle terre a soggetti collettivi e inalienabilità delle terre assegnate.

Per discutere di tutto ciò, per costruire una lotta comune sul diritto di accesso alla terra, vi invitiamo il 5 e 6 Giugno ad una due giorni sul Monte Alago (Nocera Umbra)



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