sabato 28 luglio 2012

Vendita Demanio piu´ vicina: magra proposta di modifica (inserimento locazione) per l´alienazione dei terreni demaniali.

Mentre il Ministro ci dice come la cementificazione si mangia il territorio italiano, dall´altra prepara l´alienazione del demanio e questa e´ la magra risposta dei movimenti per la salvaguardia della terra.

Comunicato stampa
Roma, 26 Luglio - AIAB, ALPA ed ARI, membri italiani di via Campesina Europa*, insieme con il Centro Internazionale Crocevia e Legambiente hanno inviato oggi al Ministro Mario Catania i commenti sulla proposta di decreto applicativo per l'assegnazione delle terre pubbliche previste dal decreto legge Salva Italia
Le cinque organizzazioni hanno richiesto con forza che si preveda la locazione piuttosto che all'acquisto delle terre demaniali.
Nella lettera inviata al ministro è stata sottolineata l’importanza di favorire l’accesso alla terra ai giovani singoli o associati che intendano avviare attività agricole.
“Riteniamo impensabile chiedere di investire ingenti somme per l'acquisto, tranne che non si voglia fare un regalo alla criminalità organizzata , unico soggetto oggi in possesso di grande massa di liquidità. Chiediamo un rapida individuazione dei terreni, una procedura trasparente e non burocratica; se gestita bene, dando priorità alla locazione, l'agricoltura, ed in particolare l’agricoltura biologica, può rappresentare una grande occasione di occupazione ripartendo da quella che è la vera economia e non i giochi finanziari a cui si è assistiti con la compravendita di terreni a solo uso speculativo da soggetti non agricoli” – questo il commento dei firmatari della lettera che hanno anche ricordato la grande opportunità di consolidamento che l’affitto delle terre demaniali offre agli enti parco ed altre forme di proprietà collettiva della terra.

mercoledì 25 luglio 2012

Anche il MIPAAF si accorge che e´ ora di cambiare rotta e fermare la speculazione del suolo

Consumo del suolo, Catania: invertire la rotta, cambiando il modello di sviluppo del Paese
(24/07/2012)

"Ogni giorno 100 ettari di terreno vanno persi, negli ultimi 40 anni parliamo di una superficie di circa 5 milioni. Siamo passati da un totale di aree coltivate di 18 milioni di ettari a meno di 13. Sono dati che devono farci riflettere sul fatto che il problema del consumo del suolo nel nostro Paese deve essere una priorità da affrontare e contrastare. In un quadro come quello italiano, che da questo punto di vista non è assolutamente virtuoso, dobbiamo invertire la rotta di un trend gravissimo che richiede un intervento in tempi rapidi. Serve una battaglia di civiltà, per rimettere l'agricoltura al centro di quel modello di sviluppo che vogliamo dare al nostro Paese. Non penso, naturalmente, a un ritorno a un paese agreste, ma immagino uno Stato che rispetti il proprio territorio e che salvaguardia le proprie potenzialità. Noi usciremo vincenti da questa crisi se lo faremo con un nuovo modello di crescita che passa necessariamente attraverso questi temi. Sono spesso, infatti, proprio questi passaggi difficili quelli utili a dare una svolta".

Lo ha detto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, nel corso dell'evento "Costruire il futuro: difendere l'agricoltura dalla cementificazione", organizzato dal Mipaaf presso la Biblioteca della Camera dei Deputati a Palazzo San Macuto. Al convegno, nel corso del quale il Ministro Catania ha presentato un disegno di legge sul tema, hanno partecipato come relatori Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera, e Carlo Petrini, fondatore di "Slow Food".

"Nel corso della storia - ha spiegato il Ministro Catania - si sono alternate epoche in cui la campagna ha vissuto dei momenti di splendore e dei momenti di abbandono. Ma erano fasi fisiologiche, determinate dal progresso. In epoca recente, in questa alternanza, si è inserito un fattore che ha reso il consumo del suolo un processo irreversibile: la cementificazione. È un fenomeno che ha un impatto fortissimo sulle aree agricole del nostro Paese, ma diventa ancora di più preoccupante quando lo vediamo concentrato in quelle zone altamente produttive, ad esempio sulle pianure. È qualcosa di devastante sia per l'ambiente sia per l'impresa agricola, con effetti negativi sul volume della produzione. La sottrazione di superfici alle coltivazioni abbatte la produzione agricola, ha un effetto nefasto sul paesaggio e, di conseguenza, sul turismo".

"Tutto ciò - ha aggiunto il Ministro - avviene in un Paese come il nostro dove il livello di approvvigionamento è molto basso, dato che almeno il 20 per cento dei consumi nazionali è coperto dalle importazioni. Qual è il nostro compito? Dobbiamo aggredire le cause di questo processo, serve una nuova visione economica, un diverso modello di sviluppo. Bisogna anche contrastare l'aggressività di alcuni poteri forti, l'assenza di regole, dobbiamo modificare una certa cecità della politica, introducendo un cambiamento normativo nel meccanismo di spesa degli oneri di urbanizzazione che vanno nelle casse dei Comuni. Purtroppo, su questo aspetto, ancora manca una visione complessiva da parte di molti. Questa battaglia - ha spiegato Catania - è invece talmente importante che non la si vince con la singola iniziativa isolata, ma lavorando insieme, attraverso suggerimenti e il dialogo".

Petrini, nel corso del suo intervento, ha spiegato: "Dobbiamo riuscire a cogliere il senso di questa proposta, che non deve essere solo riconducibile alla dimensione di un Ministero, ma deve porsi come un'indicazione sul modello di sviluppo che riguarda l'intero sistema-paese, che dovrebbe essere sensibile a una riflessione di questo tipo. L'Italia - ha sottolineato Petrini - è sotto lo schiaffo di una situazione speculativa di proporzioni inimmaginabili, c'è bisogno che tutti avvertano la necessità di cambiare l'attuale paradigma produttivo. Noi paghiamo poco gli agricoltori, ma quando perderemo i veri presidi da loro costituiti, e ce ne renderemo conto, sarà troppo tardi. Nel nostro Paese non c'è la responsabilità di sapere cosa fa un agricoltore, mentre tutti dovrebbero sapere che non coltiva solo i frutti della terra, ma preserva l'ecosistema, la tutela del paesaggio, la memoria storica. L'agricoltura va al di là della semplice produzione di cibo".

Rizzo ha aggiunto: "I Padri costituenti avevano già capito tutto, tanto è vero che in uno degli articoli fondamentali della Carta avevano introdotto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Il nostro Paese non ha riserve di gas, non ha giacimenti di petrolio, non ha miniere di diamanti, ma ha un paesaggio unico. E invece che far leva su questo spesso si pensa a cementificare il territorio. Ci sono - ha spiegato Rizzo - aree dell'Italia dove a una bassa crescita demografica si associa un alto tasso di cementificazione. C'è qualcuno che ha detto che 'dai campi di sterminio siamo passati allo sterminio dei campi'. Dobbiamo rendercene conto e capire che si può ripartire dalla terra. Un governo che abbia un senso di quello che, da questo punto di vista, può dare il Paese deve proporre un piano straordinario di rivalutazione ambientale".

fonte Mipaaf



martedì 3 luglio 2012

Land Grab in Italia e all'estero


 
C'è un dato che emerge chiaro e lampante scorrendo il nuovo rapporto dell'associazione Re:Common (www.recommon.org) intitolato «Gli Arraffa Terre»: l'Italia è seconda solo al Regno Unito tra gli Stati europei più attivi nella discutibile pratica del land grab. L'accaparramento dei terreni agricoli negli ultimi anni ha vissuto un vero e proprio boom, anche a causa della crisi che attanaglia il pianeta. Gli appezzamenti di terra, infatti, sono visti sempre più spesso come un bene rifugio per gli investitori, che però, come nel caso degli italiani, hanno scoperto anche un altro affare lucroso: quello degli agro-combustibili.
In totale sono una ventina le compagnie del nostro paese attive in maniera decisa in questo business. Nomi più o meno conosciuti, da Eni a Maccaferri, fino ai tre big del credito (Unicredit, Intesa e Monte dei Paschi di Siena). Se in Patagonia si è mossa in grande stile la Benetton, non mancano le imprese di dimensioni medie, molto presenti soprattutto in Africa, in particolare in Mozambico, Etiopia e Senegal.
Le compagnie italiane acquisiscono a poco prezzo e per periodi molto lunghi decine di migliaia di ettari in paesi afflitti da siccità e fame, come l'Etiopia, per impiantare colture intensive, con lo scopo di produrre cibo per l'esportazione o per coltivare olio di palma o jatropha poi impiegati, come accennato prima, per generare agro-combustibili.
Si pensi al caso della Fri-el Green, che proprio in Etiopia ha messo le mani su 30mila ettari, pagati la miseria di 2,5 euro l'uno l'anno per un periodo di 70 anni, la cui produzione di olio di palma potrebbe essere destinata ad alimentare la controversa centrale termoelettrica di Acerra. O ancora alle numerose imprese che, con l'aiuto delle autorità governative e consolari italiane, sono sempre più attive in Mozambico.
Nonostante le rassicurazioni delle compagnie, le stesse colture hanno un impatto molto negativo sulle comunità locali. Le piantagioni di jatropha, per esempio, entrano spesso in competizione con la produzione alimentare, sia ovviamente nel caso in cui vengano messe a coltura su terreni molto fertili, sia quando sono coltivate su terre cosiddette marginali, ma in realtà essenziali per la sussistenza di piccoli agricoltori, pastori, cacciatori e raccoglitori. Questo compromette in maniera permanente tali mezzi di sussistenza, distrugge preziosi ecosistemi naturali e danneggia irreparabilmente la biodiversità locale.
Oltre all'accaparramento di terre all'estero, favorito dalla zelante disponibilità degli esecutivi locali, negli ultimi mesi si è aperto anche un «fronte interno», caratterizzato dalla alienazione dei terreni agricoli del demanio pubblico, prevista dall'articolo 66 della Legge di stabilità del 2012. Un provvedimento molto discusso e avversato, tanto che Genuino Clandestino (http://genuinoclandestino.noblogs.org) ha subito lanciato una campagna nazionale per chiedere una modifica del dettato normativo.
La settimana scorsa sono state consegnate al presidente del Consiglio Mario Monti migliaia di cartoline sottoscritte da aprile a metà giugno proprio per dire no al tentativo di svendita delle terre pubbliche da parte del governo.
Secondo Genuino Clandestino continuando su questa linea si fa solo il gioco degli speculatori, privando le comunità della prerogativa di decidere come gestire in maniera responsabile ed efficace ampie fette del territorio del nostro Paese. Insomma, in Italia o all'estero, la rincorsa agli ettari di terra da parte dei soggetti privati sembra solo all'inizio.
 
di Luca Manes "Il Manifesto"
 

domenica 1 luglio 2012

Mobilitazione per la campagna terra bene comune

Comunicato Stampa
NO ALLA VENDITA DEI TERRENI PUBBLICI, SI ALLA TUTELA DEI BENI COMUNI!

La campagna Genuino Clandestino ha lanciato una mobilitazione nazionale contro l’alienazione dei terreni agricoli del demanio pubblico, prevista dall’articolo 66 della Legge di stabilità del 2012. La giornata di mobilitazione del 28 giugno prevede la consegna al presidente del Consiglio Mario Monti delle migliaia di cartoline sottoscritte da aprile a metà giugno per opporsi al tentativo di svendita delle terre pubbliche da parte del governo.

In questa occasione in varie città italiane si terranno iniziative davanti alla prefetture, mentre a Roma alcune attività saranno promosse dall’associazione Terra Terra.

La vendita delle terre pubbliche si innesta in un disegno più ampio di privatizzazione dei beni comuni, che ha già colpito il settore dei trasporti, gli acquedotti, gli immobili e la rete viaria. I presunti benefici derivanti dalla consegna al mercato di servizi e beni di tale importanza, enfatizzati dalla necessità di ridurre l’ingente debito pubblico italiano, sono in realtà solo uno specchietto per le allodole. Continuando su questa linea si fa solo il gioco degli speculatori e, in particolare dando via le terre agricole, si privano le comunità della prerogativa di decidere come gestire in maniera responsabile ed efficace ampie fette del territorio del nostro Paese.  

“Le terre demaniali sono e devono restare patrimonio delle comunità locali, per questa ragione chiediamo alla società civile  di mobilitarsi affinché il governo cambi rotta. I beni comuni sono sempre più sotto attacco, ma come ha dimostrato la vittoria del referendum sull’acqua del giugno dello scorso anno i cittadini italiani sono contrari alla loro privatizzazione e rivendicano un modello di gestione differente e completamente staccato dalle logiche di mercato”.