Gli usi civici, una diversa forma di proprietà

Gli usi civici, una diversa forma di proprietà

A proposito di beni comuni: gli usi civici, una diversa forma di proprietà
Gli usi civici e la loro tutela è un argomento che si lega bene agli esiti referendari  che riguardo all’acqua hanno registrato un larghissimo consenso popolare rispetto al suo riconoscimento come “bene comune”.
Questo legame ci permette di avviare un ragionamento intorno alle questioni di salvaguardia dell’ambiente ed al valore di quest’ultimo come bene pubblico, meglio ancora come bene sociale (bene comune appunto!), nonché sulla relazione stretta che esiste fra l’uso dell’ambiente e l’evoluzione dei rapporti sociali.
Gli usi civici sono, in maniera molto schematica, tutti quei diritti proprietari, gravanti su notevoli estensioni di terre (in Toscana sono rimasti circa 30.000 ettari), che si sono consolidati nel corso del tempo a favore dei poveri o dei contadini appartenenti ad una stessa comunità, per mezzo dei quali essi traevano da queste terre le risorse necessarie alla propria sopravvivenza e delle proprie famiglie, usufruiti attraverso regole che stabilivano la facoltà di prelevare in maniera equa per tutti ed in modo tale da garantire la continuità e la riproducibilità del bene utilizzato, acquisendo così un forte ruolo comunitario.
Si tratta di un’idea di gestione partecipata da parte di tutti coloro che usufruiscono del bene, che si pone l’esigenza di garantirlo anche alle future generazioni, attivando una capacità di salvaguardia e estendibilità del bene stesso, senza che su le terre sottoposte ai vincoli degli usi civici vi sia un controllo pubblico o privato che sia, in definitiva un diverso concetto di proprietà.
Carlo Cattaneo, parlando degli usi civici, affermava, infatti, che essi si dovevano definire: “un diverso modo di possedere”. Una definizione coerente col concetto di proprietà collettiva.
A solo titolo di memoria storica, lo stesso Marx nel “Capitale” dedica un intero capitolo per spiegare come l’accumulazione originaria del capitale dipendesse dalla privatizzazione degli usi civici. Processo di privatizzazione che, tra contenziosi e alienazioni, continua tutt’oggi.
Occorre allora ragionare su come la proprietà collettiva possa vivere e convivere accanto alle due classiche forme di proprietà: privata e pubblica, e come questa particolare ed originale forma di proprietà basata “sul diritto di chi non possiede” sia una forma societaria originaria ed originale, ma non anomala.
In questi anni, dominati dalla globalizzazione economica e dal liberismo esasperato, riflettere sulla tutela di beni come i demani civici,che hanno come peculiarità quella dell’inusucapibilità, immodificabilità, imprescrittibilità ed inalienabilità, elementi che sottraggono i beni collettivi al concetto classico di commerciabilità, significa parlare di un nuovo e moderno modello di sviluppo sociale e per questa via esaltarne l’attualità.
La difesa e la riscoperta degli usi civici dovrebbe entrare nell’agenda politica della sinistra come concetto moderno ed attuale, sia sul versante della tutela ambientale ed a tutto ciò che a questa è legato come la cura e la salvaguardia in ambito idrogeologico, sia su quello della salvaguardia della proprietà collettiva dei beni comuni.
Una regolamentazione degli usi civici è assai difficoltosa e le leggi attuali non hanno in alcun modo risolto i vari contenziosi, soprattutto nel definire in maniera compiuta la natura stessa del concetto di uso civico. La legge del 16 giugno 1927 e il relativo regolamento (n°332/1928) tende a preservare da speculazioni e tutela l’integrità stessa del demanio civico, esigendo che eventuali vendite corrispondano non all’interesse economico dell’ente che le dispone, bensì a quello conservativo delle popolazioni proprietarie, cui le terre spettano.
Questa legge aveva il fine di consentire una coerenza con il sistema della proprietà privata e, contemporaneamente, risentiva del periodo storico durante il quale venne redatta e promulgata. Il regime fascista, infatti, avverso ad ogni forma di partecipazione democratica non risolveva la contraddizione fra partecipazione al godimento di un bene collettivo con la struttura verticistica ed autoritaria del regime.
I commissari liquidatori e i comuni però non sono riusciti a risolvere la questione, poiché la realtà non era adattabile alle regole del 1927, le quali persistono all’interno di un sistema i cui principi ordinatori sono cambiati.
Nella Carta costituzionale troviamo infatti indicati alcuni valori fondamentali:
1.                               le comunità intermedie;
2.                               l’ambiente sotto il profilo della tutela della salute e del paesaggio;
3.                               la proprietà della terra non deve esplicarsi solo in modo produttivistico, ma anche per altri fini riassumibili nello stabilimento di equi rapporti sociali;
4.                               il ripudio di ogni principio verticistico e l’esaltazione di quello democratico e, dunque, il rispetto di tutti quei gruppi intermedi che, posti fra l’individuo e la sua volontà e lo stato e la sua “ pesante “ organizzazione dall’altro, si esprimono attraverso la partecipazione di tutti i membri alle comuni decisioni.
La comunità ha un valore sociale altissimo attorno al quale i vari soggetti ricompongono i loro interessi e costituisce lo spazio per lo sviluppo della loro personalità.
La Costituzione affida alle Regioni la competenza esclusiva su agricoltura e foreste, e quindi anche sul materia subordinata degli usi civici, e stabilisce inoltre il principio di sussidiarietà sia orizzontale che verticale per cui:
·                                 vanno considerate le regole di autonormazione e di amministrazione che la società civile nel perseguimento di un interesse generale è capace di esprimere;
·                                 va riconosciuta l’esistenza di un diritto alternativo a quello statale e/o regionale per la capacità di cittadini associati di svolgere direttamente un’attività di interesse generale.
Gli usi civici negli anni sono stati ridotti in maniera enorme e su di essi si sono costituiti nuovi interessi comunitari e soprattutto sono stati terreno di speculazione fortissima da parte dell’amministrazioni.
A parte i tecnicismi e le difficoltà legate alla legiferazione ci pare interessante il fatto che esista e sia esistito una forma di “autogoverno” e come, negli anni, si sia voluto da parte delle diverse amministrazioni, (nel segno ovviamente del guadagno economico), imporre il concetto di dipendenza e regolamentazione forzata, alcune volte svendendo i beni collettivi, altre volte cercando la sua fine.
A noi pare che ancora oggi abbiano un valore le parole di uno studioso degli usi civici come l’Avv. Guido Cervati, che a proposito delle amministrazioni pubbliche, in tema di usi civici, sosteneva che sono: “più interessate a considerare i problemi del proprio bilancio, se non peggio affascinate da miraggi di nuovi insediamenti speculativi….per dare via libera allo sviluppo di una agricoltura individualizzata o ancora peggio, alla speculazione degli insediamenti”.