Tierra y Libertad. Non
siamo in Chiapas dai movimenti indigeni e contadini zapatisti ma
nella periferia romana in zona Laurentina, al Casale Pachamama –
Madre Terra, occupato durante l’ondata di occupazioni iniziata lo
scorso dicembre con lo Tzunami Tour dei movimenti per il diritto
all’abitare. Ad accoglierci ragazzi e ragazze che provengono da
diverse esperienze sociali come Arci, Action per il diritto alla casa
e cooperativa Rom Future Service. Pachamama è composto da un casale
a tre piani, da due manufatti e da una bellissima campagna
circostante. Ci spiegano subito come l’obiettivo non sia solo
quello di dare una risposta immediata all’esigenza di un tetto per
molte famiglie, di per se già straordinariamente rilevante. Gli
attivisti del casale ci raccontano come attraverso la pratica della
condivisione del comune si possano mettere insieme esperienze e
obiettivi in apparenza diversi: accesso alla terra, lavoro, diritto
alla casa e integrazione. Pachamama sarà infatti la casa di 15
nuclei familiari che allo stesso tempo creeranno una trattoria
biologica con i prodotti degli orti urbani antistanti al perimetro
del casale. Sono circa una decina gli ettari di campagna romana che
circondano il casale. La proposta di realizzare orti urbani è stata
già avanzata agli abitanti del quartiere Eur Papillo nella prima
iniziativa realizzata lo scorso 13 luglio. Uno strumento concreto da
fornire agli abitanti della zona per auto produrre una parte del cibo
necessario al fabbisogno alimentare, abbassare i costi e difendere
l’agro romano sperimentando pratiche di condivisione. All’interno
del casale si punta anche a realizzare alloggi per accogliere minori
e donne in difficoltà, una bottega artigianale, una falegnameria ed
un laboratorio di arti grafiche. Nell’occupazione ci sono 5
famiglie Rom che provengono dal campo nomadi sgomberato di Tor de
Cenci dove avevano vissuto sin dal 1995 raggiungendo un buon livello
di integrazione con i quartieri circostanti. Inaugurato nel 2000 da
Rutelli fu il primo esempio di campo attrezzato nella città con un
servizio di scolarizzazione realizzato dall’Arci, come ci racconta
Paolo Perrini, storico attivista romano e operatore
dell’associazione. Nel 2009, dopo anni di disinteresse
dell’amministrazione comunale, il triste e drammatico epilogo con
la sua distruzione decretata dal piano nomadi dell’ex sindaco
Alemanno e della sua ex assessora alle politiche sociali Belviso.
“Pachamama sarà il primo esperimento che mette insieme il diritto
all’abitare con l’integrazione: nel casale vivranno famiglie
italiane e famiglie Rom”, afferma soddisfatto Paolo.
Il progetto Pachamama
mette dunque insieme esigenze e specificità diverse che si
incontrano all’interno di uno spazio sia fisico che culturale in
cui emerge naturalmente un punto di vista generale nuovo, fondato
sull’autogoverno, l’autopromozione di reddito, l’accesso alla
terra ed il diritto al buon vivere. Giustizia ambientale e giustizia
sociale promosse attraverso il metodo della democrazia partecipata e
comunitaria. Questa la risposta nuova che nasce dal basso in una
periferia in cui i “palazzinari” romani hanno da sempre fatto il
bello ed il cattivo tempo, arricchendosi in maniera smisurata alle
spalle di cittadini, paesaggio e ambiente. Il casale sarebbe dovuto
essere un “punto verde qualità” come previsto dalla delibera 169
del consiglio comunale approvata il 2 agosto del 1995 dalla giunta
Rutelli. Aree di proprietà comunale che venivano concesse in
gestione a privati per essere trasformati in parchi attrezzati a
ridosso dei quartieri realizzati dagli stessi costruttori. Una moneta
di scambio per aver edificato e cementificato nel parco naturale
Laurentino-Acqua Cetosa. La procura in seguito ai numerosi scandali
ha bloccato i fondi ed i vari punti verdi qualità previsti da
Rutelli sono rimasti abbandonati o sulla carta. Se non fosse stato
per i ragazzi e le ragazze del Pachamama il Casale sarebbe rimasto
ancora un luogo degradato e abbandonato a ridosso di una zona
residenziale costruita dall’imprenditore Scarpellini. “Non
abbiamo occupato solo perché troviamo inconcepibile un futuro nel
quale o si sfrutta fino all’osso la terra, le persone che ci vivono
oppure si viene sfruttati. L’abbiamo fatto per restituire alla
città uno spazio che vogliamo diventi un baluardo di un’idea dello
sviluppo nuova, rendendo la Madre Terra che circonda il casale
l’unica protagonista”, affermano gli attivisti del casale. Queste
parole accomunano il progetto Pachamama alle soggettività che in
Italia e prima ancora nei sud del mondo hanno denunciato la gravità
della crisi provocata dal modello capitalista e l’inadeguatezza
delle risposte politiche in campo. Linguaggi e pratiche che a partire
dallo specifico offrono una visione d’insieme in cui la liberazione
dell’essere umano è strettamente connessa a quella della Terra.
Queste soggettività nuove forniscono strumenti concreti per poter
uscire dalla crisi con le nostre stesse mani sin da subito,
rappresentando il miglior antidoto alla crisi di sovranità che
investe la politica ed il paese.
Giuseppe De Marzo su Il Manifesto
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