Filiera corta Ogm per il Lazio
Secondo l’Arsial, alcuni terreni coltivati a mais nel Lazio sono contaminati da specialità geneticamente modificate e brevettate dai soliti due colossi del settore, Pioneer e Monsanto. Il problema sta nei tagli ai fondi destinati ai controlli.
Ogm? Ci risiamo! A settembre di un anno fa scoppiò una grande polemica nella Regione Lazio perché ben tre aziende che producevano mais furono trovate positive ai controlli anti-doping per le coltivazioni agricole. No, non stiamo parlando del Tour de France, ma della rassicurante campagna romana dove l’Agenzia regionale per l’agricoltura Arsial, però, pescò due aziende agricole che coltivavano mais transgenico Monsanto e Pioneer. La vicenda, oltre alla prevedibile polemica politica, si portò dietro un caoticissimo gioco allo scaricabarile tra aziende agricole e aziende produttrici, che si accusavano reciprocamente di non aver effettuato i controlli necessari a vendere e seminare prodotti Ogm free. A marzo scorso i controlli campione su una delle aziende coinvolte l’avevano trovata ripulita, e dunque si pensava di poter tirare un sospiro di sollievo e brindare alla contaminazione scampata. Ma sembra, al contrario, che ci risiamo.
E’ bastata un’interrogazione del consigliere regionale Luigi Nieri, che ha chiesto di recente all’Assessorato competente di effettuare nuovi controlli in osservanza alla legge vigente per farci tornare a tremare. La normativa della Regione Lazio in materia, infatti, è molto innovativa e stringente. In applicazione del principio di precauzione (stabilito nell’articolo 174 del Trattato della Comunità europea) e a tutela delle proprie risorse genetiche agrarie (L.R. 1 marzo 2000 n. 15 “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario”) nonché della qualità e originalità della propria produzione agricola, la Regione Lazio ha sancito il divieto di coltivazione e allevamento a qualsiasi titolo di organismi geneticamente modificati su tutto il territorio regionale (L.R. 6 novembre 2006, n. 15 “Disposizioni urgenti in materia di organismi geneticamente modificati”). Le legge regolamenta anche l’emissione deliberata nell’ambiente di Ogm che è consentita esclusivamente per scopi di ricerca ai sensi del D.Lgs. 224/2003, purché in “ambiente chiuso e confinato” espressamente autorizzato e al di fuori di determinate aree sensibili, specificamente quelle più intensamente coltivate per coltivare cibo per la comunità umana.
L’Arsial, dunque, ha svolto nuovi controlli a campione su sollecitazione dell’atto del parlamento regionale, ed è emerso dalla risposta fornita al consigliere dall’assessorato competente (n. 457962/2012), che alcuni terreni coltivati a mais sarebbero risultati contaminati da specialità brevettate dai soliti due colossi del settore, e cioè Pioneer e Monsanto. Si tratta di due varietà ad uso alimentare di provenienza americana e rigorosamente esclusi per la coltivazione nell’Unione europea. Un mais, quello proveniente dalle aziende segnalate, che spesso viene venduto come prodotto tipico del Lazio, senza nessun riferimento alla natura Ogm. La preoccupazione, naturalmente, è data dalla scala del fenomeno: se due aziende su un campione di controlli che riguarda solo l’1% delle aziende agricole del Lazio, sono state trovate positive, ci si chiede con fondata preoccupazione quante altre utilizzino illegalmente Ogm proibiti rischiando di inquinare l’agro pontino in modo significativo.
Il problema sta nei tagli ai fondi destinati ai controlli, accusa l’opposizione alla Pisana, a partire proprio dalle dotazioni di Arsial che, in effetti, rivestirebbe per legge un ruolo cruciale di contrasto ad abusi come quelli di cui vi scriviamo. L’attività di vigilanza e controllo riguarda: l’esclusione dai contributi regionali per quelle aziende che utilizzano mangimi etichettati Ogm per l’alimentazione del bestiame; l’esclusione dai contributi regionali per quelle imprese agricole, agroalimentari o produttrici di mangimi che utilizzano Ogm nel ciclo produttivo; l’esclusione dai marchi di qualità regionali per l’imprese che utilizzano Ogm nella produzione di beni agricoli o alimentari, freschi o trasformati; l’istituzione di un marchio regionale “Prodotto libero da Ogm–Ggm free” al fine di incentivare filiere produttive totalmente esenti da Ogm; che chiunque vende prodotti Ogm deve esporli e conservarli in appositi scomparti, tali da non consentire la loro mescolanza con prodotti privi di Ogm e in modo da permettere al consumatore la loro chiara ed inequivocabile identificazione; che chiunque somministra prodotti Ogm ne deve fornire chiara informazione scritta, in modo da permettere al consumatore la loro chiara ed inequivocabile identificazione; l’obbligo, per chiunque vende sementi o altro materiale di propagazione, di pubblicizzare le prescrizioni e i divieti previsti dalla legislazione vigente in materia di Ogm in agricoltura e di tenere un registro nel quale devono essere annotati i dati sull’acquisto e sulla vendita di sementi o altro materiale di moltiplicazione Ogm; il divieto di somministrare prodotti Ogm nei servizi di ristorazione collettiva degli istituti scolastici e prescolastici, degli ospedali e dei luoghi di cura accreditati, degli uffici della Regione, delle Province e dei Comuni, nonché dei rispettivi enti dipendenti. I gestori dei servizi di ristorazione collettiva, sono tenuti anche ad esporre in modo adeguato le informazioni sulla provenienza degli alimenti considerati.
Sono anni che le multinazionali provano a far entrare prodotti Ogm nei nostri campi, ma dietro una netta spinta popolare sono stati sempre respinti. E a buona ragione, crediamo. Scrive il Censis nel suo 46° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, dopo aver condotto un’indagine su aziende di medie e grandi dimensioni associate a Confagricoltura, che – per quanto noi crediamo che le esportazioni non ci dicano niente della qualità economica e sociale di un territorio – le esportazioni dei prodotti agricoli italiani pesano attualmente per appena l’1,5% del totale della ricchezza nazionale, ma se si considerano i prodotti agricoli trasformati il peso sale al 7%. Nel 2011 le esportazioni agricole sono state pari a 5,7 miliardi di euro e quelle dell’industria della trasformazione dei prodotti primari pari a 24,3 miliardi di euro. Si stima che 1 euro di export dell’agricoltura sia in grado di generare 4 euro aggiuntivi di vendita all’estero di prodotti trasformati. Il Lazio e la Toscana sono tra i campioni di questo settore produttivo a livello Paese, ma sono anche le uniche due regioni italiane a svolgere i controlli anti-Ogm in campo. E anche qui tornano le paure rispetto alle dimensioni complessive del fenomeno: se tutti i territori ne facessero, l’Italia ci sembrerebbe ancora così bio, verde e genuina come speriamo sia, e come le aziende di promozione territoriale e produttiva vendono in giro per il mondo?
Le leggi nazionali, infatti, stabiliscono che il ministero dell’agricoltura effettui controlli a livello di Paese relativi alle sementi. Le ditte semenziere devono munirsi di certificati di esenzione da Ogm. Quanto siano efficaci questi sistemi lo dimostra anche il caso in questione, visto che le sementi utilizzate erano tutte certificate e perfettamente legali, almeno sulla carta. Quello che è certo è che non sono i tagli indiscriminati ai controlli e alle agenzie dedicate a livello di enti locali, fortemente perseguite anche dall’archiviando governo Monti, che ci garantiscono più sicurezza e qualità della vita. Il Lazio insegna.
A proposito di Monsanto: il 2 dicembre si sono svolte grandi manifestazioni di protesta in tutta l’Argentina, un articolo e un video sono qui.
Nessun commento:
Posta un commento